martedì 31 dicembre 2013

Competenze sociali nelle scimmie bonobo

L'acquisizione delle competenze sociali che consentono di relazionarsi efficacemente con gli altri è strettamente legata alla capacità di gestire e modulare le proprie emozioni, che a sua volta si sviluppa nella prima infanzia grazie a un buon legame di attaccamento alla madre. Questa correlazione, largamente accettata dagli psicologi dell'età evolutiva per quel che riguarda gli esseri umani, è stata ora documentata per la prima volta nei bonobo, in uno studio condotto da Zanna Clay e Frans B. M. de Waal dello Yerkes National Primate Research Center della Emory University ad Atlanta e pubblicato sui "Proceedings f the National Academy of Sciences".

Con il termine "competenza sociale", in psicologia s'intende un'ampia gamma di capacità che vanno da quella di saper stabilire e mantenere efficacemente relazioni con gli altri, al comportarsi in modo appropriato nelle situazioni sociali ed essere sensibili alle emozioni altrui, oltre a saper gestire efficacemente le proprie. Una parte essenziale della competenza sociale è la regolazione emotiva del soggetto, ovvero il processo di valutazione, modifica e inibizione degli stati interni in risposta alle diverse situazioni.

Gli studi dimostrano che la connessione tra competenze emotive e quelle sociali si struttura durante il periodo dello sviluppo: già nella prima infanzia, i bambini con una migliore regolazione emotiva mostrano un minor grado di stress in risposta al pianto di altri bambini. Una volta stabilita, questa connessione permane anche nell'età adulta: chi possiede una maggiore regolazione emotiva dimostra anche una maggiore empatia verso gli altri, che a sua volta si manifesta con un comportamento di cura e accudimento. 

I bonobo e lo sviluppo della competenza sociale
L'abbraccio è un esempio tipico di comportamento consolatorio, osservato sia nell'uomo sia negli altri primati (© Anup Shah/Corbis)
 
Un esempio tipico di questo genere di comportamento, osservato nell'essere umano e negli altri primati, è quello consolatorio, che passa attraverso il contatto fisico e gesti come l'abbraccio, la carezza o il bacio. Viceversa, i soggetti con una bassa regolazione emotiva tendono a essere sopraffatti dalle emozioni quando si trovano di fronte alla sofferenza psichica di un'altra persona: concentrati su se stessi, non riescono a essere di supporto agli altri. 

Per verificare se questo quadro si possa applicare anche ad altri primati, Clay e de Val hanno esaminato lo sviluppo della competenza socioemotiva nei cuccioli di bonobo (Pan paniscus) ospitati in un centro di recupero nella Repubblica democratica del Congo. 

Molti di questi cuccioli sono orfani a causa della caccia di frodo, mentre altri sono nati nel centro e perciò sono stati allevati dalle loro madri. Queste diverse origini hanno consentito di confrontare i comportamenti dei piccoli mettendoli in relazione sia con i livelli di regolazione emotiva, misurati tramite alcuni parametri chiave, sia con le esperienze di accudimento nei primi anni di vita.

E' così emerso che i cuccioli di bonobo con migliori competenze emotive e sociali erano più disposti a rispondere alla sofferenza psichica di altri individui offrendo consolazione. Questo comportamento era riscontrato più frequentemente nei bonobo allevati dalle proprie madri che in quelli adottati dal centro di recupero. I risultati dunque confermano la forte correlazione tra competenze emotive e competenze sociali anche nei primati non umani, così come l'importanza di un buon legame con la madre per lo sviluppo di queste competenze.

Da: www.lescienze.it

Emozioni, parlarne aumenta l'empatia e le capacità cognitive dei bambini

Secondo uno studio dell’Università di Milano-Bicocca, condotto in collaborazione con l’Università di Manitoba del Canada, i bambini che vengono sollecitati a parlare di emozioni sono più empatici e migliorano alcune abilità cognitive. I ricercatori hanno analizzato cinque emozioni: colpa, rabbia, paura, felicità e tristezza. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Journal of Experimental Child Psychology


Milano, 10 dicembre 2013 - 

Rabbia, paura, colpa, felicità e tristezza. Se i bambini ne parlano, in piccoli gruppi e sotto la guida di un adulto, riescono a essere più empatici e migliorano le loro capacità cognitive. È il risultato di uno studio (Veronica Ornaghi, Jens Brockmeier, Ilaria Grazzani Enhancing social cognition by training children in emotion understanding: A primary school study DOI:10.1016/j.jecp.2013.10.005) condotto dai ricercatori del Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione dell’Università di Milano-Bicocca e pubblicato sul “Journal of Experimental Child Psychology”, nell’ambito del progetto PRIN del 2008 Star bene a scuola: il ruolo della teoria della mente nel favorire lo sviluppo socio-motivo e cognitivo nella scuola primaria.    

Sulla scia dei risultati conseguiti in due precedenti studi, condotti dallo stesso team con bambini tra i 3 e i 5 anni, la ricerca, svolta in collaborazione con l’Università di Manitoba del Canada, ha coinvolto 110 bambini delle scuole elementari dell’hinterland milanese. I bambini, distribuiti in un gruppo sperimentale e in uno di controllo, avevano tra i 7 e gli 8 anni. Quattro le fasi dello studio: pre-test, training, post-test e follow-up. Nella fase di pre-test sono state proposte ai bambini prove individuali di “comprensione delle emozioni”, di “empatia” e di ”teoria della mente” (prova cognitiva), per valutare il livello di partenza. Poi si è passati alla fase di training che è durata circa due mesi. Durante questo periodo, i bambini del gruppo sperimentale, dopo aver ascoltato delle storie a contenuto emotivo, venivano coinvolti nelle conversazioni sulla comprensione della natura, delle cause e della regolazione delle emozioni. Per promuovere la partecipazione attiva di tutti i bambini, il gruppo è stato a sua volta suddiviso in piccole classi di circa sei bambini. Le attività si sono concentrate su cinque emozioni, di cui quattro di base (felicità, rabbia, paura e tristezza) e una complessa (senso di colpa). Ciascuna di queste emozioni è stata oggetto di conversazione per tre incontri: il primo focalizzato sulla comprensione dell’espressione, il secondo sulla comprensione delle cause e il terzo sulla comprensione delle strategie di regolazione dell’emozione target. Ogni incontro è stato strutturato in quattro momenti: introduzione al tema da parte dell’adulto, un racconto di vita quotidiana, avvio della conversazione, e riflessione finale da parte dell’adulto (leggi la scheda col dettaglio dell’esperimento). 

I bambini del gruppo di controllo, invece, ascoltavano le storie e in seguito facevano un disegno, non partecipando dunque alla conversazione. Nella fase post-test, ai bambini sono state nuovamente proposte le prove; infine, dopo due mesi, a tutti i partecipanti è stata riproposta la prova di comprensione delle emozioni per verificare la persistenza degli effetti prodotti dall’intervento.

E’ emerso che il gruppo dei bambini sottoposti all’intervento migliora significativamente, rispetto al gruppo di controllo, in vari aspetti della comprensione delle emozioni, nella dimensione cognitiva dell’empatia, e nella prova cognitiva di teoria della mente.

La spiegazione dei risultati sta nell’uso della conversazione in piccolo gruppo, che ha favorito il decentramento cognitivo, l’assunzione del punto di vista dell’altro, la consapevolezza delle differenze individuali e il collegamento – da parte dei bambini - tra mondo interno non visibile e azioni manifeste.
«La novità dello studio – spiega Ilaria Grazzani, coordinatrice della ricerca e docente di Psicologia dello sviluppo e psicologia dell'educazione - consiste proprio nell’avere scoperto che l’intervento sulle emozioni produce miglioramenti anche nella capacità cognitiva di “teoria della mente”, ovvero nella capacità che consente di prevedere i comportamenti degli altri sulla base dell’inferenza dei loro stati mentali (“se ha fatto questo, forse è perché desiderava qualcosa; “se ha agito in un certo modo doveva essere arrabbiato”)».

«All’interno della scuola primaria tradizionalmente deputata all’insegnamento dei saperi curriculari– aggiunge Veronica Ornaghi, assegnista di ricerca –, è possibile realizzare interventi che, oltre a potenziare le abilità socio-emotive, come la comprensione delle cause delle emozioni, l’empatia e l’aiuto nei confronti dell’altro, producono anche miglioramenti su capacità di tipo cognitivo, per esempio, rappresentarsi la mente dell’altro e prevederne i comportamenti, un’abilità indispensabile nella vita sociale»

Da www.lescienze.it

lunedì 30 dicembre 2013

Quel serissimo bisogno di giocare

Il gioco di fantasia è essenziale per un normale sviluppo sociale, emotivo e cognitivo, perché migliora l'adattamento sociale, stimola l'intelligenza e riduce lo stress. 

Di Melinda Wenner 


Il primo agosto 1966, il giorno in cui lo psichiatra Stuart Brown iniziò l'attività di assistente universitario al Baylor College of Medicine di Houston, il venticinquenne Charles Whitman salì in cima alla torre dell'Università del Texas nel campus di Austin e sparò su 46 persone. Whitman, studente di ingegneria, era un ex tiratore scelto dei marine e nessuno l'avrebbe immaginato capace di fare una strage. Dopo aver accettato di occuparsi del caso in veste di consulente dello Stato, Brown intervistò 26 detenuti condannati per omicidio in Texas e scoprì che la maggior parte dei killer, compreso Whitman, condividevano due caratteristiche: provenivano da famiglie in cui avevano subito abusi e da bambini non avevano mai giocato.

Brown non sapeva quale di questi due fattori fosse il più importante. Ma nei 42 anni trascorsi da allora ha intervistato circa 6000 persone, e i dati raccolti suggeriscono che l'assenza di gioco fantasioso e non strutturato durante l'infanzia può compromettere la felicità e l'adattamento sociale una volta che si diventa adulti. «Il gioco libero», come lo definiscono gli esperti, è fondamentale per l'acquisizione della competenza sociale, del controllo dello stress e per la costruzione di capacità cognitive come la risoluzione dei problemi. Ricerche condotte sul comportamento animale confermano i vantaggi del gioco e ne stabiliscono l'importanza evolutiva: in ultima analisi, il gioco è suscettibile di fornire agli animali (compreso l'uomo) abilità che saranno loro utili per sopravvivere e riprodursi.

Da www.lescienze.it